Anticipava di quasi un decennio il fenomeno delle SUV: bella, confortevole e inarrestabile, con un V8 enorme e terribilmente Yankee.
Ancora oggi fa girare la testa.
Le auto americane, si sa, sono disseminate di “warning stickers” (avvisi). Sulla Grand Cherokee V8, però, manca il più importante: “abbassare il finestrino prima di accendere“.
C’è il rischio di perdersi la tempesta baritonale emessa dal suo V8 Magnum da 5,2 l; quanto di più Yankee si possa immaginare. Brividi allo stato puro!
Proprio il suo fascino d’oltreoceano, unito a dimensioni europee, ne determinò il successo anche nel vecchio continente. E’ una fuoristrada al 100%, ma viene considerata da molti la prima vera SUV della storia, grazie alle soluzioni tecniche adottate e al comportamento stradale che garantiva. Divenne presto uno status symbol per chi voleva distinguersi dalla massa.
L’ammiraglia JEEP venne presentata in America nel 1992 (MY ’93). Era modernissima, molto più agile e snella – “solo” 450 cm – rispetto ai contemporanei pachidermi USA. Il suo segreto era la carrozzeria monoscocca, abbinata a sistemi di trasmissione sofisticati, robusti e dotati di marce ridotte. Garantiva un confort ed un’agilità da berlina, con una mobilità sui terreni accidentati degna della più dura e pura delle “nonne” usate nella seconda guerra mondiale. Completava il quadro una dotazione full optional, che ancora oggi stupisce per la sua completezza. Sul fronte motoristico lo standard iniziale fu un sei in linea da 4,0 l, mentre il 5,2 l V8 fu affiancato poco dopo. Venne prodotta e distribuita anche in Europa, a partire dal 1994. La versione europea era disponibile anche con il motore diesel VM da 2,5 l, che risultò inadeguato alla mole della vettura e piuttosto “cagionevole” di salute. Nel 1998, infine, venne introdotto l’allestimento LIMITED LX, con motore 5,9 l rivisto dalla MOPAR, che le valse il titolo di fuoristrada più veloce del pianeta (210 Km/h).
Se eccettuiamo la ben più costosa e “tradizionale” Range Rover, la Grand Cherokee non aveva concorrenti dirette e rappresentava una valida alternativa alle station wagon “premium”, rispetto alle quali garantiva un’immagine ben più esotica e ricercata. L’unico vero freno alla diffusione delle versioni a benzina furono i consumi. Difficilmente percorre più di 6/7 Km litro, con crolli vertiginosi se usata in maniera allegra. Anche oggi rimane una validissima classic daily car, a patto di essere disposti a frequenti e costose soste per i rifornimenti. In ottica collezionista sono proprio le versioni a benzina, in particolare V8, quelle “giuste” da comprare. Cercatele rigorosamente originali, senza preparazioni off road o trasformazioni a gas. I ricambi si trovano a prezzi ragionevoli e con una certa facilità. Attenzione alla storia del singolo esemplare e alla manutenzione che, se eseguita regolarmente, rende questa Jeep praticamente eterna.
L’esemplare che ho in prova è una V8 LIMITED del ’96, con soli 67.000 Km. E’ in condizioni di assoluta originalità. Non è nemmeno mai stata lucidata. Si tratta di una versione restyling, che si caratterizza per delle leggere modifiche al frontale, nuovi cerchi, fregi sulla carrozzeria ed interni ridisegnati. La dotazione comprende l’ABS, il doppio airbag, il clima automatico, un sofisticato computer di bordo, l’impianto Infinity Gold con caricatore CD, i sedili elettrici e riscaldabili con memorie, il clima automatico, il cruise control e un’infinità di altri accessori.
L’abitacolo è straordinariamente spazioso e luminoso, se rapportato alle dimensioni esterne. I sedili garantiscono un confort totale anche sulle lunghe percorrenze. La posizione di guida è molto più automobilistica di quanto ci si possa aspettare, con il volante verticale ed una postura tendenzialmente allungata.
Finalmente è il momento di provarla su strada. Ho deciso di portarla in montagna, il suo habitat naturale. Avvio il “motorone” e sposto l’enorme leva del cambio in drive, sfioro l’acceleratore e la JEEP si muove sorniona e dinoccolata, accompagnata da un possente rombo. Su strada apprezzo subito la straordinaria coppia garantita dal V8 Magnum, che compensa le carenze di un cambio automatico – tre marce più overdrive – decisamente datato anche per l’epoca, e di una trasmissione integrale permanente che assorbe molta energia. Ecco le prime curve pianeggianti. Sul misto il rollio è marcato e lo sterzo indiretto, a causa della spalla elevata degli pneumatici e delle geometrie tipicamente da fuoristrada. Bastano però pochi chilometri per capire che la tenuta è di buon livello e che, se guidata nel giusto modo, riesce anche ad essere anche dinamica. La frenata è soddisfacente, considerato il tipo di mezzo. Nel trasferimento autostradale apprezzo il confort elevatissimo, grazie alla silenziosità di marcia e al motore che gira bassissimo con il cruise control inserito. L’impianto audio è strepitoso, anche per gli standard odierni: metto volume “a palla” e… grazie di esistere Rolling Stones!!!
Dopo un tratto ricco di gallerie percorse rigorosamente a finestrini abbassati, arrivo finalmente in montagna. Chiedo ad una signora del luogo di poter accedere alle sue proprietà per saggiare la Jeep in off road. Pur non potendola impegnare in situazioni estreme, apprezzo la mobilità nei tratti più viscidi e sconnessi. La Grand Cherokee supera, senza scomporsi e senza la necessità di inserire le ridotte, ostacoli e passaggi che oggi farebbero impallidire la più tecnica e dotata delle SUV.
Si è fatta l’ora di pranzo, e la mia voglia di tenere le ruote fuori dall’asfalto non si è placata: decido di raggiungere una baita sperduta percorrendo una mulattiera sterrata. Mi attendono canederli, salsicce, funghi e formaggio fuso, oltre ad una sdraio sulla quale distendermi e godere del tiepido sole autunnale. Mentre sono alla ricerca della stradina giusta, con l’acquolina in bocca, si accende improvvisamente una spia arancione… E’ già ora di cercare un altro benzinaio!