Emanuele Romano
Prendete una gloriosa squadra corse in crisi economica, uniteci un direttore sportivo con una enorme fame imprenditoriale e condite il tutto con i soldi di un importante e ricco proprietario terriero; avete appena ottenuto il sogno che un austriaco naturalizzato italiano aspettava da una vita.
Ma andiamo per ordine, analizzando punto per punto.
Punto uno: gennaio 1949; negli uffici della Cisitalia regnava lo sconforto più assoluto; la realizzazione della monoposto Grand Prix (progetto Porsche 360) sotto la supervisione dell’ingegner Rudolf Hruska aveva ben presto prosciugato ogni risorsa economica della creatura di Piero Dusio.
Le difficoltà erano tali che quest’ultimo era arrivato a contattare il Presidente dell’Argentina Peron affinché lo aiutasse a trovare una via d’uscita, tanta era la disperazione del momento.
Ma se da un lato le difficoltà stavano portando alla disperazione, dall’altro c’era chi stava cercando una opportunità nella situazione creatasi. Veniamo quindi al secondo punto; questa persona altri non era che l’allora direttore sportivo della Cisitalia, uno con un passato motociclistico importante, tanto da sfidare (e battere, al secondo tentativo) l’Orient Express nel tratto da Vienna ad Ostenda a bordo del suo sidecar Sunbeam 600. Lo stesso che mise in contatto qualche anno prima Dusio con la famiglia Porsche e che permise, al titolare della Cisitalia, di mettere mano a progetti importanti.
Questa persona rispondeva al nome di Karl Abarth, naturalizzato Carlo.
E quale fu questa opportunità?
I primi tre mesi di quel 1949 passarono veloci sotto il segno della frenesia e dell’ansia, alla ricerca di quella soluzione che potesse accontentare un po’ tutti; in primis quella fame imprenditoriale che a 40 anni, era divenuta in Karl, insaziabile.
La lampadina gliela fece accendere uno dei piloti di punta della sua squadra, tale Guido Scagliarini che, confidandosi col direttore sportivo, ammise la sua grande paura; quella di non avere più un auto con cui correre in un momento che rappresentava l’apice della sua carriera.
E qui arriva il terzo punto; il padre di Guido Scagliarini, Armando, era un grande proprietario terriero di Finale Emilia dalle possibilità economiche quasi illimitate. Karl non ci pensò un attimo ed andò di persona a proporgli il suo progetto che consisteva nel rilevare le attività della Cisitalia in modo da creare una nuova realtà automobilistica e permettere di conseguenza al giovane Guido di continuare la propria attività da pilota.
In breve tempo vennero presi tutti gli accordi sulla base delle idee chiarissime di Karl che cullava dentro da chissà quanto.
Il 31 marzo 1949 presso un notaio bolognese, venne firmato l’atto costitutivo della nuova società che avrebbe avuto come logo uno scorpione, simbolo zodiacale sia di Abarth che di Scagliarini padre e che si sarebbe chiamata “Abarth & C.”, dove la “C.” stava per “company” ovverosia la famiglia Scagliarini che non credendo sino in fondo ad un futuro roseo della neonata società, non volle mettere il proprio nome, facendo così il gioco dello stesso Karl, che finalmente aveva una creatura che portava il suo nome.